lunedì 24 giugno 2013

In Italia a picco il consumo di cemento: è scoppiata la bolla della rendita


L’assemblea annuale dell’Associazione italiana tecnico economica del cemento  (Aitec), l’organo di rappresentanza del 90% della produzione dell’industria cementiera nazionale, aderente a Confindustria e del Cembureau (Associazione Europea del Cemento) ha dovuto probabilmente prendere atto della fine di un’epoca. Le cifre snocciolate dall’Aitec sono rivelatrici di una crisi verticale frutto anche della bulimia di territorio ed ambiente del passato: «Consumi di cemento in Italia in forte calo nel 2012: – 22,1% rispetto al 2011, con volumi dimezzati in sette anni. Per il 2013 stimato uno scenario di ulteriore arretramento».

Il Presidente dell’Aitec, Alvise Zillo Monte Xillo, ha detto: «Invochiamo misure di rilancio dell’edilizia e dei progetti infrastrutturali: il Paese necessita di un piano di riqualificazione urbana in chiave di efficienza e sostenibilità». Parole nuove, ma bisogna capire a cosa pensano Zillo ed i suoi soci quando parlano di infrastrutture perché quelle che ha in testa ancora Confindustria sono quelle pesantissime e contestatissime che ben poco hanno a che fare con l’efficienza e la sostenibilità.

L’Aitec sottolinea quello che da tempo diciamo anche qui a greenreport.it: «La crisi economica ha avuto impatto sull’industria del cemento più che su qualunque altro comparto: nel 2012 il decremento della produzione è stato di oltre un quinto ed ha portato così a dimezzare complessivamente i volumi nell’arco degli ultimi sette anni, in linea con l’andamento fortemente negativo del comparto delle costruzioni».

Uno scenario drammatico, soprattutto in un Paese che per lunghi anni ha avuto il record di consumo pro-capite di cemento ed il record della cementificazione del territorio e dell’abusivismo edilizio. Di fronte a questa crisi che è frutto di scelte sbagliate e della speranza che tutto continuasse come prima e più di prima in un settore più che maturo, «La filiera del cemento e del calcestruzzo lancia alle istituzioni un appello per l’adozione di politiche industriali strutturali in grado di far ripartire gli investimenti in edilizia e infrastrutture».

L’assemblea Aitec è stata l’occasione per il convegno “Edilizia e infrastrutture: opportunità di rilancio per il Paese” che ha messo a confronto ’imprenditoria, istituzioni ed esperti. Dai dati della Relazione Annuale di Aitec emerge che «Nel 2012 la produzione di cemento in Italia si è ridotta drasticamente, con un calo pari al 20,8% rispetto al 2011, attestandosi a 26,2 milioni di tonnellate. Anche i consumi di cemento hanno registrato una riduzione del 22,1% nell’anno, arrivando a perdere il 45% circa rispetto al massimo raggiunto nel 2006. Le prospettive per il 2013 permangono critiche, con l’attesa di un ulteriore forte calo dei consumi intorno al 20-25%, dopo che nel primo trimestre 2013 si è già registrato un decremento del 22,4%, e con una situazione di capacità produttiva in eccesso al momento stimata al 40-50%».

La filiera del cemento è comunque praticamente ferma in gran parte dell’Unione europea a 27, dove però il calo medio di domanda e produzione, anche se alto, si è attestato intorno al 19%, La Germania mantiene il ruolo di primo produttore e l’Italia in crisi nera si conferma comunque al secondo posto. Il rapporto sottolinea che «Tra i Paesi più importanti, proprio la Germania e la Francia sono riuscite a contenere più di altri la crisi, con un calo della produzione pari rispettivamente al 3,6% e al 7,3%» e questi due grandi Paesi non hanno certo il nostro tasso di consumo di suolo ed hanno ben atre politiche urbanistiche e/o infrastrutturali ed un’edilizia meno intossicata dalla rendita.

Ritornando al rapporto Aitec, «Il peso dell’export è aumentato nel 2012, arrivando a rappresentare una quota del 6,6% delle destinazioni del cemento, ma permane per ragioni strutturali, legate soprattutto all’elevata incidenza del trasporto sul costo finale del prodotto, l’impossibilità di considerarlo uno sbocco per compensare la carenza di domanda interna».

Il settore del calcestruzzo preconfezionato, assorbendo circa il 49% della produzione, continua ad essere il comparto più rilevante tra quelli di destinazione del cemento,  ma «Ha vissuto un anno molto negativo, facendo registrare un calo dei volumi di produzione pari al 22,5%, in linea con gli effetti della crisi sull’intera filiera».

Secondo il presidente dell’Aitec «Il rilancio di edilizia e infrastrutture rappresenterebbe un’opportunità di sviluppo per l’intero Paese, con effetti moltiplicativi su occupazione ed investimenti. Non è più rinviabile la decisione di avviare un piano di riqualificazione urbana, ispirato all’efficienza energetica e alla sostenibilità ambientale, in linea con quanto fatto nel resto d’Europa e che possa mettere al centro dell’attenzione il recupero di un patrimonio edilizio italiano, uno dei più vetusti in assoluto».

Qui si osserva veramente un cambio di passo, come i cementieri che cominciano a dire cose che fino solo a qualche mese fa bollavano come ubbie ambientaliste: «Proprio il tema del recupero del patrimonio abitativo italiano è oggi al centro delle proposte di Aitec. Il 60% degli edifici, pari a 1,5 milioni di unità, è stato costruito prima del 1974, anno di entrata in vigore della prima normativa antisismica e necessita pertanto di messa in sicurezza. Tale intervento di demolizione e ricostruzione, ad impatto zero pertanto in termini di consumo di suolo, consentirebbe circa 10 anni di piena occupazione per il mondo delle costruzioni e il riassorbimento di 600.000 addetti della filiera».

La proposta di Aitec è simile a quella che da anni fanno associazioni come Itala  Nostra, Legambiente, Inu e gli urbanisti più avveduti: «Concentrare gli interventi sulle aree industriali dismesse e sui quartieri residenziali caratterizzati da una scarsa qualità architettonica e inadeguati rispetto alle attuali normative sismiche, idrogeologiche e di risparmio energetico. Il passaggio dalla demolizione alla ricostruzione può inoltre prevedere forme di reimpiego degli scarti provenienti dalla demolizione, ad esempio ricavando dal calcestruzzo armato gli aggregati per i nuovi conglomerati cementizi, limitando in tal modo sia il consumo di materie prime che il ricorso alle discariche».

Si potrebbe chiosare che dai diamanti non nasce niente, ma che dalla crisi del cemento italiano potrebbe anche nascere una nuova politica urbanistica che faccia tesoro dell’ingordo assalto al territorio che ci ha portato alla attuale crisi verticale della rendita diventata improvvisamente un insostenibile fardello, non solo per il paesaggio e la bellezza dell’Italia “assassinata dal catrame e dal cemento”, ma anche per le tasche di chi sul consumo di territorio ha investito.

U.M.

sabato 22 giugno 2013

COMUNICATO STAMPA: "IL PAT CHE VORREI...quello che nessuno vi ha ancora raccontato"

COMUNICATO STAMPA  
"IL PAT CHE VORREI...quello che nessuno vi ha ancora raccontato"
Le idee delle Associazioni sul Futuro di Fumane

Venerdi 14 giugno presso la sala Consigliare del Comune di Fumane si è svolto un incontro sul Pat (Piano di Assetto Territoriale). Promosso dal Comitato Fumane Futura e dall'Asssociazione Valpolicella 2000, con il contributo di Legambiente e di Terra Viva, ha visto una buona partecipazione da parte dei cittadini di Fumane. Il giudizio delle Associazioni sul Pat approvato dal comune di Fumane, è stato fin dall'inizio nettamente negativo. Per i relatori, il Piano risulta totalmente inemendabile, estremamente generico e che omette completamente le problematiche principali del comune. Inoltre risulta ricco di buoni propositi generali che vengono completamente disattesi quando si addentra nelle ipotetiche linee di attuazone.
Dopo un'introduzione dove per sommi capi si è giustificato il parere negativo delle  associazioni, Legambiente a spiegato come nasce un Pat e quali sono gli sviluppi operativi successivi nello specifico osservando le dinamiche che sottintendono alle superfici che purtroppo ad ogni stesura increnmentano le aree edificabili. Da qui sono partiti gli interventi che hanno evidenziato con dati alla mano, tutte le criticità omesse o trattate con colpevole superficialità. Nello specifico i problemi che uno sviluppo basato sul continuo consumo di suolo agricolo, avrebbero su un patrimonio ambientale e paesaggistico molto delicato che resiste ancora Fumane. Ed ancora la problematica delle cave, ben 30 presenti nel comune di Fumane, con le ferite al territorio ben visibili e il sito produttivo di Exide con le problematiche di inquinamento di tale industria situata all'interno del paese. Grave per le associazioni che si pensi a nuova edificazione anche al centro del capoluogo dove è presente la problematica del campo da calcio, una ferita ancora aperta con la popolazione, dove, secondo le associazioni si potrebbe finalmente costruire la piazza di Fumane. 
Non meno importanti sono stati gli interventi sulla Scuola, sul Cementificio e le problematiche ambientali come le discariche e la qualità dell'aria.
Per il capitolo destinato alla  scuola si è evidenziata la contraddizione tra i propositi all'interno del Pat che sottolineano l'inadeguatezza del polo scolastico e la problematica della scuola elementare con la criticità della posizione pericolosa all'interno dell'incrocio principale di Viale Verona, mentre questa stessa amministrazione spende € 800.000,00 per la messa a norma dello stesso edificio.
Altra nota dolente il Cementificio Rossi confermato di fatto dal Pat senza che si sia trattato in profondità la problematica dell'incidenza di tale industria sulla qualità dell'aria, seppur evidenziato come tema problematico, e la totale omissione del tema oramai dimenticato della discarica abusiva presente all'interno del territorio di Fumane.
Prendendo spunto dall'esperienza di Terra Viva che punta ad un aumento delle pratiche biologiche e sostenibili in agricoltura, Fumane Futura e Valpolicella 2000 hanno declinato le loro proposte per un Pat che finalmente promuova e sviluppi la qualità, l'unicità e le potenzialità anche economiche del pregiato territorio di Fumane. Nello specifico si è rilanciato il messaggio centrale dello STOP AL CONSUMO DI TERRITORIO.



lunedì 17 giugno 2013

Dall'antica Roma un segreto per costruire: "Il cemento del passato meglio dell'attuale"

la Repubblica, 16 giugno 2013
http://www.repubblica.it/scienze/2013/06/16/news/dall_antica_roma_un_segreto_per_costruire_il_cemento_del_passato_meglio_dell_attuale-61220929/?ref=HREC2-14

ROMA - "In secula seculorum", nei secoli dei secoli. E così sia: una volta costruito un edificio, nell'antica Roma, ce ne si poteva dimenticare. Eccetto terremoti imprevedibili, tutti avevano la certezza che non sarebbe mai crollato. Perché l'impasto cementizio utilizzato ai tempi dell'Impero era meglio di quello che sappiamo fare oggi. Più resistente sì, ma anche più sostenibile dal punto di vista ambientale.

Per capirlo basta guardare le rovine romane ancora in piedi dopo oltre duemila anni. E a metterlo nero su bianco è uno studio di una squadra internazionale di scienziati, e potrebbe aiutare chi costruisce a farlo da qui in poi in maniera migliore. Gli scienziati e gli ingegneri hanno notato la resistenza all'erosione e all'acqua del cemento romano impiegato nella costruzione di porti, ancora pefettamente conservato in molti casi. L'ingegnere Marie Jackson dell'Università della California a Berkley fa i numeri: "Rispetto a quello romano, il cemento di Portland, quello che usiamo comunemente da 200 anni, in queste condizioni non durerebbe più di mezzo secolo prima di iniziare a erodersi". 

Per capire le proprietà del cemento romano, l'equipe ha analizzato tra l'Europa e gli Usa un campione estratto dal porto romano della baia di Pozzuoli, a Napoli. Il segreto è nell'utilizzo di particolari minerali, tra cui roccia vulcanica e calce, che a contatto con l'acqua rendevano il cemento particolarmente solido. E che per essere prodotto, non aveva bisogno di una dispersione di diossido di carbonio nell'atmosfera pari al 7% del totale, come accade oggi.  Il connubio calce-cenere vulcanica non c'è nel cemento di Portland. E quindi "dopo qualche anno inizia a fratturarsi, al contrario di quello romano", spiega ancora Jackson. Impiegare oggi quelle tecniche di costruzione è una sfida per tutta l'industria. Ma si avrebbe quindi poi accesso a un materiale più solido ed ecologico da produrre. Accanto alle altre soluzioni sostenibili per l'ambiente a cui oggi l'umanità ha accesso, ora c'è un'altra risposta che viene dal passato remoto. (t.t.)

mercoledì 12 giugno 2013

il PAT che Vorrei...



propongono


il PAT che Vorrei…
…quello che nessuno vi ha ancora raccontato

le idee delle Associazioni
sul Futuro di Fumane

con il contributo delle Associazioni:


e



 Venerdì 14 giugno

In Sala Consiliare a Fumane

Alle ore 20.45